martedì 15 gennaio 2008

La Coscienza di uno Zero

Nella scuola italiana si studia la letteratura italiana.
Giustissimo. Non per nulla siamo stati la più importante letteratura mondiale per quasi quattro secoli, in un arco che si può posizionare dalla prepotente ascesa dei poeti stilnovisti (fine XIII sec.), alla pubblicazione dell'Adone di Gianbattista Marino (XVIII sec). Dopodiché siamo lentamente diventati una letteratura minore, soccombendo sotto la potenza delle opere nordeuropee.

Eppure, nelle scuole italiane si fa bellamente finta di niente. E s'insegna quant'è bello La Coscienza di Zeno, di Italo Svevo.

Palle. Tutte stronzate.

La Coscienza di Zeno è mediocre quanto il personaggio che ne è protagonista. Scritto in un italiano stentatissimo ("Non ero capace di raccontarvi di un'altra storia"), narrativamente a blocchi (cinque capitoli sulle cinque sconfitte qotidiane di un uomo, e se scambiate l'ordine dei capitoli, non cambia nulla), ritmicamente elefantìaco (Guerra e Pace al confronto è una rumba).

Di sicuro vi racconteranno dell'importanza della psicanalisi nel romanzo, e di come sia la prima volta che si parli di psicanalisi nella letterature italiana.
Al di là della dubbia importanza di tale record ("E' la prima volta che parlo di psicanalisi in questo forum! Festeggiamo!"), e di come la cosa sembra dimenticare che all'epoca i romanzi stranieri venivano tradotti in italiano (eh sì, le letterature non erano più a comparti stagni da... quattrocento anni?), e di come Svevo andasse a lezioni di inglese nientemeno che da Joyce (il quale gli aveva mostrato una bozza dell'Ulysses, ma a scuola nessuno ve lo dirà mai per non rompere l'incanto), vorrei far notare come la psicanalisi sia solo una scusa per parlare del più e del meno.
"Lo psicanalista m'ha detto di scrivere, e mo scrivo". Nessun complesso, nessuna mania, niente: solo un pretesto narrativo.
Direi che Svevo aveva carpito in pieno l'essenza stessa della psicanalisi, oh sì. (ironia inside)

Inoltre, che merito c'è nel raccontare la vita di uno sfigato? Nemmeno servisse ad esemplificare una morale della vita, no, dietro alle pagine di Svevo c'è il nulla.

Mmmh... proprio Grande Lettaratura senza dubbio... pagine immortali...


Al vostro professore, rispondete: perché non leggiamo Joyce, invece?

4 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao jeg, questo è un commento spammoso che ti informa che c'è un forum "clandestino" dove gli utenti di emuita si iscrivono mai poi non postano -.-

http://quellidiemuita.helloweb.eu

l'idea è nata per non fare disperdere la comunità
ciao!

Gabriele Riva ha detto...

io non posterei, quindi non mi iscrivo. Comunque piacere di averti sentito.

Anonimo ha detto...

Molto interessante,molto vero.

Va comunque detto che Ettore Schmidt crebbe e visse nella Trieste pre-primo conflitto mondiale quando ancora quella citta' era ancora parte dell'impero Austroungarico,per cui quello di Svevo/Schmidt era un italiano sicuramente piu' farraginoso e "disagevole" dei suoi contemporanei.

Inoltre molte persone sono convinte che questo romanzo celebri la psicanalisi,quando invece secondo lo stesso Svevo era "buona per i romanzieri" ma non per guarire le persone.

Infine e' vero;il messaggio finale di Zeno e' nichilista,secondo il quale e' inutile agire nel mondo ( e si vedono infatti personaggi come Guido uscirne sconfitti mentre l'abulico Zeno nel finale sembra addirittura un vincitore ) perche' tanto l'uomo mette l'ordigno nel centro della terra,moriremo tutti ecc.

Io gli ho sempre preferito Pirandello,visto che almeno ha cercato delle soluzioni ai problemi che poneva.

Infine: penso che la mancanza di un vero e proprio ordine cronologico sia stata voluta.L'ordine tematico e' secondo me uno dei punti di forza del libro,visto che si possono rileggere alcuni blocchi alla luce di altri.

E comunque resta una tortura da leggere,questo non lo toglie nessuno.

Anonimo ha detto...

Ottimo commento Aggrogghio/Jolly Roger; Pirandello è sì un gran figo, uno dei più grandi scrittori del XX secolo, mica pizza e fichi.