venerdì 14 dicembre 2007

Perché gli orchi verdi devono andare a nascondersi?


  1. Perché si ride, e non si ride per orchi che ruttano e scoreggiano;
  2. perché finalmente non si ride più per orchi che ruttano e scoreggiano (ma quanto tempo è passato da Monsters Inc?);
  3. perché la Disney è tornata a fare la Disney e ha capito che non deve scusarsi per essere ciò che è;
  4. perché c'è la tipica scena delle pulizie Disney: e come ogni altro elemento classico del film, anche questo è eseguito sotto una luce inedita;
  5. perché ogni singolo elemento che appartiene alla classicità Disney non è deriso, bensì omaggiato;
  6. perché è il film più originale che sia uscito da qualche anno a questa parte;
  7. perché Amy Adams è bella da far spavento;
  8. perché è presente la Vera Strega Disney che ha popolato i miei incubi infantili (la sentivo arrivare ridacchiando in camera mia dal corridoio...)
  9. perché c'è la più trascinante canzone Disney dai tempi di "In Fondo al Mar" de La Sirenetta;
  10. semplicemente perché questo ha le carte in regola per essere un nuovo inizio per la Disney, e per chi si è mai commosso nella scena del ballo de La Bella e La Bestia, questo è il più importante film degli ultimi anni.

lunedì 10 dicembre 2007

Eccitato come una scolaretta

La mia politica con questo blog di modesta critica artistica è quella di evitare post mordi-e-fuggi o usa-e-getta o qualsiasi-altra-nome-con-i-trattini. Vorrei essere chiaro ed esauriente. Qui non si replica: o l'articolo è buono, altrimenti non vale la pena perderci tempo.

Ma non posso tirarmi indietro di fronte a questo.



In futuro devo ricordarmi di scrivere un paio di articoli su qualche film super-eroico...

mercoledì 28 novembre 2007

I am Beowulf. No, it's a lie.

Deluso a tre quarti.

A tre quarti perché il Beowulf di Zemeckis parte come un razzo. Centra subito un paio di topoi caratteristici del poema. Grandioso.

Il problema è che, al momento della risoluzione finale, tutte le questioni aperte, rimangono tali.

Per prima cosa, il film riesce ad esprimere bene la complessità di un personaggio come l'eore eponimo, il problema è solo che lo rende complesso nella direzione opposta al poema: laddove il testo ci offre un Beowulf come un "eroe" che, al contrario di molti eroi greci "nati" tali, si è fatto da solo, un bambino timido e schernito dai coetanei che s'è conquistato il proprio titolo, il film ci dà un uomo debole e vanesio che diventa molto meno interessante non appena comincia a mentire.


Ma se il poema ci svela la chiave di interpretazione dell'intreccio proprio nel finale, qui la pellicola si rivela frettolosa e quasi irriverente con se stessa. Ma come, lo scontro con il drago dura solo sei minuti? E il tema della colpa, che fine fa? E a cosa cavolo vuole alludere quel finale? Quale diavolo è, la morale della storia?
La grande vampata che chiude la vita di Beowulf avrebbe abbisognato di una decina di minuti in più per rispondere a molti interrogativi aperti nel primo atto.


Insomma, hai voluto sacrificare un personaggio come Beowulf, hai voluto dare un padre a Grendel (era importante che non lo avesse, nell'epica), e posso accettarlo in virtù delle ipotesi interessanti che si solleva sui motivi dei personaggi, e dei temi che tiri in ballo. Ma almeno, porca puttana, sviluppameli questi cazzo di temi!

Che minchia serve mostrare un Grendel innocente, sofferente, punito da una natura mostruosa, mettergli in bocca una linea di dialogo eccezionale (sulla base di una nota linea interpretativa del poema), e poi farmelo morire, senza spiegarmi mai perché sia così.
Cosa serve introdurre così magnificamente il personaggio del Drago (sì, qui è un personaggio vero e proprio), se poi viene approfondito ancor meno dell'archetipo immortale che era nell'epos?

Cosa serve insinuare il tema dell'Evangelizzazione e la fine dell'era pagana, se poi la cosa rischia di rivelarsi quasi solo un pretesto per cambiare qualche texture?

E che cosa rappresenta quella sirena nel flashback, di cui Beowulf non rivela nulla a nessuno? Sarebbe la madre di Grendel? E se sì, che cavolo ci faceva lì?

Perlomeno il danese Beowulf & Grendel chiudeva il proprio cerchio interpretativo. Per quanto registicamente minore, l'interpretazione della storia aveva una sua dignità nella completezza, e un suo senso. Persino Il 13° Guerriero si è dimostrato abile nel catturare l'essenza dell'opera, nonostante fosse stato tagliuzzato e rimontato in ogni sua parte.

A fine film mi sono sentito come dopo un'ora e mezza di Black Dahlia, quando i personaggi cominciano a parlare di cose che lo spettatore non ha nemmeno visto. Colpa di un montaggio e di un adattamento da cani.
Solo che qui si fa finta che molte cose viste non siano state dette o mostrate.

Insomma, più che lo Zemeckis perfettino di Forrest Gump e Back to the Future, qui abbiamo di fronte quello criptico di Cast Away. Solo ancor un po' più criptico. Forse troppo. Mai stato così poco chiaro, il mio buon Bob.

La paura più grande, è che Zemeckis abbia cercato solo un pretesto per mostrarci di che cosa sono capaci le sue workstation.
Perché, la cosa più interessante, è che Zemeckis in persona ha costretto gli sceneggiatori Avary e Gaiman (sì, quell'Avary e quel Gaiman) a riscrivere il finale col drago, "da un verboso confronto a uno scontro su scogli e mare". Maestro mio, a volte ai film servono i dialoghi.


Oh, comunque è un buon film. Pollice su. Sicuramente migliore di Troy.
L'atmosfera del poema c'è tutta, ad esempio. E i dialoghi in Old Eglish sono incredibili.
Sono arrabbiato perché c'erano le basi per il Capolavoro, e invece è solo un buon film.
Troppa carne al fuoco non viene cotta, e io preferisco un piccolo brandello saporito, piuttosto che tre chili di filetto crudo.

mercoledì 14 novembre 2007

And into the Legend...


In questo titolo è palesata la magia che Enix sapeva infondere nei giochi. Gli storici limiti strutturali e interattivi da sempre rinfacciati ai giochi di ruolo, qui assumono il ruolo di pregi. I combattimenti a turni? Qui funzionano alla grande. I dungeon? Qui divertono e sono disegnati con intelligenza. Il level-upping? Quello è dal primo capitolo che è spontaneo quanto il salvataggio della partita. In ogni frangente, un’infinità di piccole cose fanno sì che riscopriamo il piacere del classico gioco di ruolo. Quello che, partendo da presupposti ambientali e narrativi basilari, quasi banali, riesce a intelaiare una struttura composita e ordinata, che sarebbe divenuta il know-how basilare dei jRPG per oltre un decennio. Ancora adesso i game-designer d’oriente faticano a trovare un’alternativa duratura e ampliabile alla concezione ruolistica di Dragon Quest III (sebbene i tentativi non siano affatto mancati) che è la maturazione immortalante della struttura dei primi due giochi.

La grafica è monumentale. Infischiandosene dei limiti hardware di una macchina che, bene o male, era sempre stata inferiore a qualsiasi concorrente sul mercato, Enix porta sul piccolo schermo del GameBoy Color costruzioni visive di assoluto valore, supportate da una palette quasi infinita. Si susseguono strutture estetiche imperfettibili, se non in sterili interpolazioni ideali. I limiti macchina non esistono. Ed ecco effetti di deformazione dell’immagine, castelli e città e dungeon disegnati con una perizia per i dettagli quasi maniacale.

continua prossimamente su www.retrogamer.it ...

lunedì 5 novembre 2007

Getting to the Dark Tower

Il 22 Ottobre 2005, alla veneranda età di sedici anni, provai a scrivere un'epitome poetica della saga della Torre Nera di Stephen King. Non chiedetemi perché ci provai, ma fu così. Penso che ogni buon alunno di un Liceo Classico abbia provato almeno una volta a buttar giù qualche verso.
Comunque, inventai un metro adatto: stanze di sette versi con la seguente organizzazione: 11a- 9a- 11b- 9c- 9b- 11c-7a' (l'ultimo verso rima con il primo verso della stanza seguente). Scelsi un vocabolario tipicamente epico (qualcosa a metà tra il Tasso e il Boiardo) e in un paio di settimane riuscii solo a riassumere due terzi del primo romanzo, L'Ultimo Cavaliere ("The Gunslinger"); ma non è detto che un giorno non provi a terminare l'epitome.


L’uomo in nero nel deserto fuggì
e il pistolero lo seguì.
Nell’apoteosi d’ogni deserto,
Roland il cavaliere, raccontò
quanto a Tull avesse sofferto,
e come tal cittadina fiammeggiò
sotto le sue pistole.


Ma le sue paure non eran le sole:
un fanciullo, le cui parole
provenivan da diverso universo,
volle essergli paggio e scudiero.
Non era il ragazzo disperso,
lì fu evocato dal mago nero,
per far Roland soffrire.


Lo stregone nero, Walter si suol dire,
ma Marten lo si potea udire,
fece rovina e distruzione della
di Roland famiglia e patria,
che una volta era sì bella,
raggiante, regale e piena di grazia.
Di ciò il fece massacro.


I due giunsero in un luogo sacro,
d’una fata era simulacro.
Pria Jake, il ragazzino, fu tentato,
ma Roland lo trasse e fu in vece.
Il futuro fu rivelato;
--------------------------- fece:


[da qui salto all'epilogo del primo romanzo]

Il cavaliere ultimo e il suo avversario
raggiunsero assolato ossario,
ove discorrer de’ massimi e minimi
per notte che ne vale cento:
si spiegaron lì gli animi,
vani verbi volaron come vento.
Primo il libro finì.


Io mi sono divertito tanto a scriverlo.



venerdì 2 novembre 2007

Eternauti e psiconauti

Nessuno s’era mai chiesto a cosa servissero a Mario tutte quelle monete. Nessuno s’era mai chiesto che volessero fare quelle tartarughe che andavano avanti e indietro. Alla fine era bello che ci fossero, punto.

E’ un fatto che la narrazione non sia di per sé propedeutica per un videogioco. A nessuno è mai fregato di chi stesse dentro il Vic Viper, chi fosse l’omino di Turrican, che cosa blaterano i personaggi di Resident Evil 4 nelle cut-scene.

E’ un fatto che dal 1996 i platform game s’erano abbastanza fossilizzati nella struttura e nel contenuto, più o meno in linea con altri generi videoludico (picchiaduro in primis). Salta quello, raccogli questo, colleziona quello, vai da A a B. Qualche lampo brillante di Rare e Oddworld Inhabitants, ma niente che riscrivesse le regole del platform, nessun Maniac Mansion, per intenderci.

Psychonauts procede alla totale giustificazione narrativa del proprio gameplay, un’operazione tanto geniale quanto fantasmagoricamente complessa per calarci appieno dentro la sospensione dell’incredulità, tanto che sarà difficile uscirne.

Parafrasando Umberto Eco (che si riferiva a Charles M. Schulz), se “poesia” vuole dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Psychonauts è poesia.

continua prossimamente su www.retrogamer.it ...

lunedì 9 aprile 2007

Eravam trecento, eravam nobili e forti.


Allora, è un film estremo. Come ho detto in precedenza, dato che la ricostruzione storica fedele ha sempre alienato gli spettatori più che coinvolgerli (Il Mestiere delle Armi docet), recentemente si tende a trasmettere non immagini storiche, ma le emozioni di quei tempi. Vedere un elefeante oggi, non può essere come lo vide un soldato romano la prima volta contro le armate di Pirro. Oggi ci sembra un peluche che si muove, allora era una montagna che respirava. E quindi qui si cerca di rendere laverità emotiva, non la verità fattuale.

300 è questo, una ricostruzione storica apertamente infedele che però ci trasmette quegli ideali, quelle emozioni e quei sentimenti che quegli uomini provavano. Di fronte al piccolo mondo ellenico, l'Impero Persiano parve essere grosso come l'Eurasia intera, il mondo intero. Ed è quindi legittimo fornire bombe, mostri, re-dei, sciamani africani e altre esagerazioni del genere, che però oggi ricreano nello spettatore odierno le stesse emozioni che provarono i Greci allora.

Quanto alla trasposizione, a differenza di Sin City , qui Snyder carpisce solo il meglio da Miller, tralasciando moltissima merda: approfondisce le piscologie dei soldati e della moglie di Leonida, rende credibili gli effettacci troppo segaioli di Miller (le ottocoentomilaquarantatrè frecce che uccidono Leonida), concede meno e miglior spazio al gobbo traditore, e gli offre una psicologia mooolto più plausibile. La semplice battuta di Leonida che consiglia al gobbo di fare da "scudiero" nelle retrovie (totalmente mancante in Miller) indica l'impegno per colmare quei vuoti paurosi di sceneggiatura. Inoltre aggiunge molto di suo, e tutto ciò che aggiunge è assolutamente magistrale (il rinoceronte, gli elefanti, le storyline della moglie e del capitano).

Questo film è la prova di come fare un buon film storico senza perdersi nelle lezioni, nel nozionismo da documentario e nelle note a pie' di pagina.

Oliver Stone, prenditi un blocchetto per gli appunti e una matita.

300 ci riporta in un'epoca in cui l'idea di Europa si stava delineando, in una penisola montuosa dove insieme ai concetti ateniesi di uguaglianza, democrazia, libertà di pensiero, conviveva una filosofia di pretto pragmatismo guerriero, quasi darwiniano. Ma che comunque, si rifiuta di inginocchiarsi di fronte ad un altro uomo.

D'altronde Atene fece solo metà del lavoro per creare la nostra civilità occidentale, Gesù Cristo era di quattro secoli di là a venire.
E quindi è inutile paragonare l'idea di guerra in un'opera come questa, a quella di Lettere da Iwo Jima e Flags of our Fathers in cui, come Farinotti predica, si mostra che c'erano degli uomini dietro le maschere da Immortale.

Ma in 300, quelle maschere celano volti di mostri, perché è così che gli Spartani li vedevano. Che sia giusto o sbagliato, è così che è andata.

Il finale è semplicemente perfetto. Unisce esigenza di pathos, ottima regia, ritmo e chiarezza sugli eventi. Non fa vedere Anthony Hopkins che per dieci minuti ci spiega come gli Ateniesi fecero questo, come i Tebani fecero quell'altro, etc...

Insomma, finalmente la forma e la sostanza si equivalgono.

Non posso attendere con più ansia il prossimo Watchmen .

P.S. c'è da dire che però la colonna sonora del trailer, arrogante e techno-metallare (una canzone dei Nine Inch Nails, Just Like You Imagine), è quasi assente nel film,dove si fa largo l'ennesima soundtrack Gladiator-clone, con tanto di scena nel campo di grano...

P.P.S. dettaglio importante che sia la graphic novel che il film hanno tralasciato: assieme ai 300, resistettero fine alla fine anche 700 Tespiani (una città della Beozia) e i 1000 eloti (schiavi personali) degli Spartani che si rifiutarono di abbandonare i loro padroni.

mercoledì 4 aprile 2007

Since I haven't seen anything about a city

Originally written in italian; for now i don't translate it in english, because I hate translating my stuff

[L'ho visto ieri su Sky. Che dire?

Premesso che detesto leggermente Frank Miller (e con i suoi ultimi lavori su Batman, posso dire di odiarlo), ho trovato gradevole questo film.
Ma lo considero al pari di una tech demo; ho passato tutto il tempo a godermi lenti di occhiali bianche che contrastino con la figura in controluce, cravatte che passano da bianche a nere, è davvero un'esperienza prossima all'orgasmo vedere un fumetto prendere vita.

Difatti l film è il trionfo della forma sulla sostanza. Storie quasi banali, nichiliste, prevedibili nella loro continua ricerca del "più sporco, più cattivo, e più irreale".

Nella valanga di attori, mi hanno davvero colpito positivamente Nick Stahl e Benicio Del Toro, un po' bolso m'è sembrato invece Bruce Willis (ma sono dieci anni che è bolso, dall'ultimo Die Hard).

Certo, lo ritengo su un altro pianeta (in avanti) rispetto a Pulp Fiction, o (indietro), rispetto a Slevin: Patto Criminale. Finalmente un noir dove perlomeno le storie e i messaggi CI SONO. Non sono il massimo, ma è innegabile che ci siano e che siano belli prepotenti. E non c'è bisogno di mostrare un citazionismo inutile. Non è una telecamera in mezzo al niente. E' in mezzo al "non tantissimo", ma quello che c'è, è onesto.
Certo, non ci fosse quella tipo di fotografia, questo film sarebbe solo uno dei tanti, ma non ha senso ragionare su quello che non è.]

venerdì 23 marzo 2007

Why the world do/doesn't need Smallville.

Why the world needs Smallville:
  • because the Man of Steel is still the Man of Steel;
  • because there's Allison Mack. I adore Allison Mack;
  • because Michael Rosenbaum as Lex Luthor gives several enjoyable performances. It's not easy being compared with Gene Hackman and Kevin Spacey and not coming off with all broken bones. We can forget John Shea with a smile, in the end;
  • because Tom Welling is not so bad;
  • because the red kryptonite is really, really, really cool;

Why the world doesn't need Smallville:
  • because the directing is absolutely kind of amatorial; every dialogue is introduced by a character close to the camera and another character that, besides tha fact he's entered in someone else's house without being saw or heard (nobody lock doors in Smallville), appears behind him, like in an Argentinian telenovela;
  • because Lana Lang (Kristin Kreuk) is as stunning beatiful, as horrendously useless. She's probably been for 70-90 times the "damsel in peril": Lana, are you dumb?? Everything is a possible minion to you! Stay at home, damnit! (Let's not talk about the dozen of episodes when she's got temporary super-powers...)
  • because the French-witch storyline in the 4th season was Charmed with different characters;
  • beacuse Tom Welling is not so bad, but now it's more thirty years old than sixteen...
  • because we won't ever see Bruce Wayne or Wonderwoman. The closer we get to it it's the Justice-not-so-League-without-Batman-and-Wonderwoman -aka-Superman-and-his-SuperFriends.

domenica 18 marzo 2007

Argonautica: Fall of Every Dream

Longtime have passed since the heroic time of Homer, almost eight hundred years. The Hellenistic world saw tha rise and fall of the freedom of the Greek cities-states, the rise and fall of Alexander the Great and, with him, the rise and fall of the dream of a single man that can change the world.
In this age (III century b.C.), a librarian called Apollonius Rhodius wrote the Argonautica.

What is this stuff about?
First, you must know that the greek mithology cover an arc of three-four generations. Yes, like the DC Comics. And, like the DC Comics, every generation has its crossover. The "War of Troy" is the big third gen's crossover. The Voyage of the Argonauts is the big second gen's crossover. In it, we can find some of the fathers of the heroes of Iliadyssea, with some big guns like Heracles, Peleos, Telamon, Castor and Pollux. And, of course Medea.

But the most important innovation of the poem is the deconstruction of the hero: thousands of years before Miller and Moore, Apollonius Rhodius ask himself if these super-strong, super-fast, super-smart men were actually super-men.
And, if they aren't, why?
He depicts Herakles as an egoistic, arrogant e over-growth guy, who can barely control his own power, quite not as Kevin Sorbo's character. He also give way to the grief and leave his companions not long after the begin of the journey.
Jason, the protagonist, is not a hero, at all: he cries, he doesn't have a clear plan for the mission, he is later reduced to deceive a girl to accomplish his goal.
Because neither the super-strenght (Herakles), nor the super-speed (Peleos), nor the super-boxing-ability (Pollux), nor the super-tongue (Jason) make you a hero; only your mind, your heart and your ideals, can make you a true hero.

Apollonius was a modern man: he didn't believe in fables, but he wished to.

venerdì 9 marzo 2007

First Fists of the Fitful Firths


I've always hated blogs.

There's no logical reasons, it's kinda a factual prejudice: bloggers are people who aren't able to set up a website; bloggers are people who believe to be bigger, or smarter, or more interesting than they actually are; the most read italian blog is made by a chronic conspiracy-theorist; to not talk about the thousands of thousands of boring teens with their trifles.

I don't want to be like them. Or, in better words, I don't want to feel like them.

Why am I writing a blog, then?


First of all, keep clear in your mind that I'm writing for me. You are not an high priorioty, at all.
I believe that within a fist of years, it shall be interesting to me reading what I was artistically thinking. For example, I would like to have written a blog in the lycaeum's years; in three years we (me and my friends) crossed the entire story of european literature, theathre and philosophy.
But, this doesn't mean that I won't be polite to whom will read the blog. Politeness doesn't mean fan-service (may I use this word despite I haven't "fans" yet?).
Like the kingian definition of a non-commercial writer, It's just that I won't write what I may think you want, I'll write what I (think I) want.

In second place, I must get some practice with my english, so if I make grammatical or synthaxical mistakes, correct me without any minimal mercy. Because a good english is necessary; in my opinion, a person must know three languages: his own mother tongue, for easily arguible reasons; english, beacuse is the only global language (French and Chinese have to learn it, too); latin, beacuse it has been the global language for fifteen centuries (it can be applied also on the ancient greek, but it's more difficult to learn, and it dosn't use our alphabet).


But, like Zero infamously said in Megaman X4, what am I "fighting for" (better: "fooOOooOOrrrh...")? What shall you read in this blog?

I will talk about my interests, my thoughts about art: literature (of the last thirty-one centuries), cinematography (of the last hundred and a fist of years) videoludic (of the last... ok, I'll stop), music (I will write less about that, because i'm not very well up in that subject), philosophy and some other things more. But I don't aim to be encycopledicly complete; the other site that I write on (in italian, this time) already aims to be the most exhaustive critic (not cryptic) source about one matter (videoludica, in this example). One try at one time is enough.
By the way, you can infer the next two topics by the two images I've posted in this message.

Why?
Because, as Seneca said "
O quam contempta res est homo, nisi supra humana surrexerit".

And, I think you wanna raise. I do.

Let's just try.

Oh, I am such an abstent-minded, I was forgetting the most important thing in an opening: savoury biscuits.